Nella piccola via papa Giovanni XXIII attira l'attenzione un edificio a tre piani, riccamente dipinto (da cui l'appellativo di "case colorate" con cui è noto negli ultimi anni a Brinzio) e purtroppo versante in stato di grave degrado.
Tale caseggiato è di notevole importanza dal punto di vista storico, in quanto tra il XV e il XVI secolo ospitò una comunità di suore di clausura. I primi documenti a trattarne risalgono al 1492 e al 1493 e consistono in testamenti e contratti di compravendita a favore delle monache.
Come si era tuttavia formata tale comunità?
Ce lo dice un documento del 1496: tre donne brinziesi, troppo povere e prive di dote spirituale (all'epoca essenziale per "rinchiudersi nel chiostro") avevano emesso i voti di castità e povertà, decidendo poi di "far da sé" creandosi un proprio monastero in una casa attigua alla chiesa: le “case colorate” appunto. Non ci è dato sapere quanto tale monastero fosse riconosciuto come legittimo dalle gerarchie ecclesiastiche, in quanto le evidenze documentali mostrano indicazioni contrastanti: alcuni indicano le monache come agostiniane, altri come francescane. Fatto sta che la comunità crebbe, acquisendo un notevole potere all'interno della comunità brinziese, ove costituivano l'unica rappresentanza religiosa stabile (il paese non aveva neppure un prete titolare): divennero intestatarie di vaste proprietà terriere, immobiliari e mobiliari, che usavano concedere in comodato d'uso alla popolazione.
Il monastero sopravvisse ufficialmente fino al 9 settembre 1519, quando una bolla papale decretò che fosse unito a quello (tuttora esistente) del Sacro Monte di Varese. Occorse tuttavia circa un ventennio perché le suore lasciassero Brinzio.
Gli abitanti, che avevano considerato la presenza delle suore un motivo di vanto nei confronti delle comunità limitrofe, alla notizia della bolla papale reagirono scompostamente: alcune romite furono malmenate e gli atti vandalici ai danni del patrimonio monastico si moltiplicarono. A placare gli animi dovette intervenire il vicario diocesano di Como, che nel 1540 emanò una diffida contro i brinziesi paventando conseguenze peggiori qualora le intemperanze fossero proseguite.
La partenza delle monache non segnò tuttavia la fine del loro rapporto con Brinzio: i beni e i terreni di loro proprietà passarono in gestione al monastero del Sacro Monte di Varese, fino a quando non vennero espropriati e liquidati in epoca napoleonica.
Le "case colorate" sono state riacquistate dalla parrocchia di Brinzio attorno al 1990; l'auspicio futuro è che possa essere condotto un loro restauro, che preservi e valorizzi un così importante tassello di storia locale.